Grande successo del nuovo romanzo “Il Vino e le Rose” della promettente Claudia Conte

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Il lavoro di Claudia Conte è intelligente e apprezzo in modo particolare la struttura del libro, l’andamento è leggero ma non superficiale.  Altri ragazzi più giovani a Roma, che forse ispira, fanno una rivista cartacea di analisi critica, non vedo un allontanamento dei giovani dalla cultura, è il mondo degli adulti che è un po’ stupido”. Lo ha detto ieri sera in un gremito Cinelab dell’Isola Tiberina il Vicesindaco e Assessore alla Cultura della Capitale, Luca Bergamo, a margine della presentazione, del romanzo  “Il Vino e le Rose. L’eterna sfida tra il bene e il male” (Armando Curcio Editore) della giovane attrice e scrittrice Claudia Conte, classe 1992.

Dedico questo libro ai giovani della nostra Italia”, spiega  l’autrice, che auspica:“usciamo dal nostro cortile recintato di indifferenza e apriamoci senza paura ai colori della vita”. Ed è proprio sul senso della vita e su altri quesiti esistenziali che la Conte si interroga nel suo saggio travestito da romanzo, nel quale, cercando di dare ambiziosamente delle risposte, frutto di meditazioni, di letture di testi laici ed ecclesiali, si intrecciano le storie di tre donne che, in costante ricerca del proprio equilibrio, si confrontano e crescono insieme.

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Durante la presentazione del libro, a cura di Savino Zaba, l’attore Vincenzo Bocciarelli ha eseguito delle letture di alcuni brani del romanzo, intervallate dalle straordinarie performance musicali della cantante Pamela D’Amico e del sassofonista Paolo Russo. La serata si è conclusa a bordo del Tevere nella suggestiva atmosfera dell’Osteria Laltroballerino, capitanata da Romolo Di Francesco, dalla moglie Marianna Alverdi, e dallo chef Andrea Fusco che ha accolto il nutrito parterre di amici e vip che non sono voluti mancare all’evento: il sociologo Maurizio Fiasco, il Presidente del Centro Europeo Turismo e Spettacolo, Pino Lepore, lo stilista delle celebrità, Josè Lombardi, gli attori: Elena RussoEnio DovrandiAlessio ChiodiniMario LongobardiElisabetta StajanoVito MancusiSabrina CroccoMario Longobardi, il Presidente del Comitato Italiano Nazionale Fair Play, Ruggero Alcanterini,  Simone Amato, il Più Bello D’Italia 2013, il regista Salvatore Scirè,Padre Desirè, il presentatore Angelo Martini, l’ex MissElisabetta Viaggi, la scrittrice Maria Castaldo e numerosi allievi del centro sperimentale di cinematografia.

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‘Corniche Kennedy’: Dominique Cabrera racconta i minots di Maylis de Kerangal

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La ‘pied noir’ Dominique Cabrera traspone, con qualche modifica, il romanzo omonimo di Maylis de Kerangal, narrando le avventure di un gruppo di ragazzi sulla ventina che passano l’estate nei pressi di Marsiglia, tuffandosi dalla Corniche Kennedy, una strada che costeggia il mare. Vitali ed impavidi, i giovani rischiano quotidianamente la vita, sfidando i divieti, la polizia, la prudenza, la forza di gravità. A guardarli, o meglio a sorvegliarli, ci sono gli adulti, inquadrati nei loro rigidi ruoli sociali, in contrapposizione al furore gioioso dei ragazzi. Un film luminoso, come il sole di Marsiglia, dall’impianto evidentemente documentaristico e girato interamente in esterni con luce naturale, per lo più lungo quella Corniche in cui convivono diverse etnie e classi sociali. La Cabrera accarezza con la macchina da presa i bei volti in primo piano di un cast di giovanissimi non attori, a cui si unisce l’intrusa, come il suo personaggio nel film, professionista Lola Créton. La regista mostra questi adolescenti nel pieno del loro slancio vitale, della loro forza, della loro libertà, delle loro passioni, mentre sperimentano, attraverso il rischio, quello che vorranno fare della propria vita. La bellezza e l’asperità del paesaggio, però, catturano l’attenzione dello spettatore più della vicenda narrata, che non si dimostra purtroppo sufficientemente coinvolgente. Perché nonostante l’ottima scelta del cast e uno stile di regia raffinato, il film sembra non crescere mai, preferendo una medietà di tono che a lungo andare stanca. La sottotrama poliziesca, poi, anziché rendere più interessante e dinamica la materia, la appesantisce, non riuscendo mai ad essere incisiva: perché è vero che si parla di disoccupazione, di assenza di prospettive future, di una società che chiude le porta ai ragazzi di periferia (i minots detto in gergo marsigliese) e di una malavita che li recluta e sfrutta, ma il tutto rimane freddo e abbozzato. Ciò nonostante, un film formalmente ben fatto, ammirevole per la capacità della Cabrera di girare in ambienti ostici e di gestire un cast multiforme che non si sottrae ai rischi, proprio come i personaggi dell’opera.

Alberto Leali

‘Piccoli crimini coniugali’: Infascelli indaga sull’inferno della vita di coppia in un film teatrale e raffinato

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Roma. Un’auto porta a casa un uomo con la testa ferita accompagnato da sua moglie. Li vediamo entrare nel loro bellissimo appartamento e sin dalle prime battute capiamo che lui ha perso la memoria e che pare non riconoscere neppure la donna, che tenta comunque di aiutarlo a ricordare. Pian piano, però, scopriamo che forse le cose non sono esattamente come sembrano e che forse entrambi stanno mentendo. Cosa vogliono nascondere? Dal bestseller omonimo del francese Eric-Emmanuel Schmitt, ‘Piccoli crimini coniugali’ segna il ritorno alla regia di Alex Infascelli, che, dopo film come ‘Almost blue’, ‘Il siero della vanità’ e ‘H2Odio’ cambia decisamente registro, mettendo in scena un teatralissimo dramma da camera che indaga impietoso nell’inferno della vita di coppia. Due soli personaggi in scena, come su un palcoscenico, a cui danno volto e anima due tra i più validi attori italiani: Sergio Castellitto e Margherita Buy. Il regista li chiude all’interno di un appartamento privato, raffinatissimo e arredato con grande cura (e che un tempo era appartenuto niente di meno che a Silvana Mangano), e li lascia a briglia sciolta, facendo emergere bugie, crudeltà, fragilità, paure. Sembra quasi di spiarli, di ascoltare i loro discorsi dall’appartamento accanto, cercando di afferrare qualcosa che non emerge mai completamente. Perché per tutto il film non smettiamo di domandarci chi dei due dica la verità e chi invece stia facendo il gioco sporco, restando imbrigliati con loro in un tour de force perverso e crudele, in cui entrambi i giocatori sono i tristi reduci di un sentimento che ormai si è spento. È la solitudine, infatti, che regna in quella casa splendida ma mortifera, con le mura oscurate e le finestre da cui non si vede cosa c’è fuori: perché quell’appartamento è una tomba, la fredda tomba di un amore piegato da insoddisfazioni, rancori, compromessi, timori. E così ‘Piccoli crimini coniugali’, come il libro da cui è tratto e a cui rimane per gran parte fedele, diviene una riflessione impietosa e non priva di ironia su una guerra di coppia che non avrà vincitori, ma solo i firmatari di un’alleanza per la sopravvivenza. Un’opera ambigua e nerissima, inevitabilmente claustrofobica, girata con raffinatezza ed eleganza ed arricchita da una colonna sonora gustosa firmata dallo stesso regista e da David Nerattini. Certo, siamo lontani dal coinvolgimento emotivo e dalla perfezione stilistica di opere come ‘Carnage’ o ‘Venere in pelliccia’, entrambe girate da Roman Polanski ed entrambe analisi feroci sull’universo coppia e sulle sue contraddizioni. Ma pur nel suo raggelante intellettualismo, ‘Piccoli crimini coniugali’ funziona e la sua confezione da thriller domestico affascina e inquieta al tempo stesso, trasmettendoci un senso di malessere e di spaesamento.

Alberto Leali

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